Campello nel 1937

    • Miniere di Gorno

Particolare di Campello in un disegno della Vieille Montagne   anno 1937
(Archivio di stato)

Villaggio minerario di Campello (Giorgio Schena)

Fra Gorno e Oneta, in posizione più vicina al secondo che al primo, nei primi anni del secolo, sorse un nuovo agglomerato di case, sede della ditta Crown Spelter. Fino ad allora, stando ad una delibera comunale del 26 agosto 1904, “non vi abitava che una famiglia, che aveva domicilio ad Oneta e saltuariamente anche quella. Ora però – continua il documento consiliare – […] la località di cui si tratta va’ prendendo una notevole importanza, stante ché vi è fissata la sede della ditta Crown Spelter coi relativi Uffici d’Amministrazione…
Durante gli anni seguenti il numero delle case aumentò, ospitando le famiglie degli impiegati e dei dipendenti non originari del luogo. Fu costruito un edificio in stile inglese, con verande e saloni, denominato comunemente ‘il palazzo nel quale risiedette dapprima il direttore delle miniere e in seguito furono ospitati i capi servizio e gli impiegati senza famiglia.
Il luogo aveva una sua atmosfera suggestiva, fiancheggiato da un giardino, circondato da vialetti ghiaiosi che si raggiungevano (e si raggiungono tuttora anche se l’insieme ha perso buona parte del suo fascino) salendo una scalinata dagli ampi gradini. Le terrazze erbose, ricavate nei prati scoscesi, erano delimitati da glicini dal profumo denso. Per la gente del posto aveva probabilmente un’attrattiva fiabesca, anche perché riservata a persone che provenivano, a cavallo dei due secoli, dall’estero e poi dal Veneto, dalla Toscana e dalla Sardegna, dalle regioni cioè che avendo istituti industriali d’indirizzo minerario, oppure essendo sedi d’altre miniere, fornivano personale dirigente o di medio livello. Basta solo scorrere i nomi contenuti negli ordini di servizio e nei documenti delle ditte che si sono succedute negli anni per rendersi conto di questo fatto: Steidler, Zaj,. Horvell, Noble, Chenet, Toffolon, De Colò, Donati, Billi, Patt, Stefani, Franz, Sembianti, Atzori, Muscheri, Balbusso…
Sul minuscolo abitato, dominava una villa che divenne la residenza del direttore, anch’essa di stile vagamente inglese, che negli anni Settanta venne progressivamente abbandonata, ma che agli abitanti di Oneta e Gorno aveva dovuto sembrare una reggia.
Campello costituiva un’isola a parte che rappresentava la ditta e il suo potere. A Campello c’erano gli uffici, e lì i minatori dovevano recarsi per chiedere lavoro, per ritirare il salario, per ascoltare i rimproveri dei superiori. A Campello, fino agli anni Cinquanta e in parte anche nel decennio successivo, viveva una classe sociale diversa, composta in maggioranza da persone integrate solo superficialmente nel tessuto dei paesi vicini e che oltretutto venivano sostituite con frequenza, limitando rapporti che non fossero quelli gerarchici. I suoi abitanti godevano anche di piccoli privilegi altrimenti sconosciuti: abitavano case ammobiliate ad uso gratuito, come gratuito era il riscaldamento centralizzato che nessuno aveva in paese, possedevano le automobili quando ancora erano un sogno collettivo, d’estate andavano in villeggiatura (spesso nel luogo d’origine, ma non importa ché il fatto faceva effetto lo stesso) quando questa era ancora una parola sconosciuta. A Campello c’erano inoltre un bar, ritrovo di cacciatori, e uno spaccio aziendale dove si poteva comperare dalle granaglie per animali alle aspirine sottobanco. C’era però una cosa che faceva colpo: una rete telefonica interna che collegava le case della ditta fra loro e con i cantieri delle miniere. Ancora negli anni Settanta in queste case dominavano i vecchi telefoni a muro neri e massicci, ognuno dei quali possedeva un numero a due cifre. Campello possedeva un campo da tennis, retaggio forse della cultura sportiva inglese, ben presto però trasformato in campo giochi per i ragazzini e in campo da calcio serale per i giovanotti, anche quelli di Oneta dove non vi era uno spiazzo che superasse i dieci metri quadrati (in seguito, negli anni Settanta, anche Oneta costruirà il suo campo e il “tennis” subirà il declino del nucleo abitato).
Campello è stato per parecchi decenni di questo secolo il nucleo di riferimento della miniera e dei suoi lavoratori.
Anche geograficamente, posto com’è tra Oneta e Gorno, in un luogo che sembra poco adatto ad un insediamento abitativo, ne veniva contrassegnata la sua singolarità e la sua diversità. Dopo i primi anni Ottanta e la chiusura della miniera è stato ovviamente abbandonato dai dipendenti e in parte occupato da famiglie locali. In questo modo ha assunto, anche nei fatti, una nuova configurazione, quella più propria di contrada comunale.
L’edificio che ospitava gli uffici, sistemati su tre piani, è attualmente abbandonato a se stesso, in un progressivo disfacimento che non meriterebbe, anche solo per ciò che ha rappresentato lungo un secolo nella cultura degli abitanti della VaI del Riso.